10 Dicembre 2016
Ed eccoci qui all’hostel Rancho Grande, a riposarci dopo la prima ascensione Patagonica e a sognare la prossima. Marcello è appena tornato da un giro in bicicletta di 8 giorni tra Chile e Argentina che ha battezzato Carruttillera patagonica (vedi il racconto di Marcello). Con Marta e due compagni di avventura hanno dovuto fare più di dieci guadi con l’acqua alla vita e la bici sommersa ed è entusiasta di questo nuovo itinerario che, attraverso il passo Mayer permette di fare un anello in zone semisconosciute della Patagonia Chilena.
Io invece sono andato a scalare. Non conoscevo Rainer (del nord della Germania) prima di incontrarlo a Calafate in areoporto ma il suo curriculum alpinistico parlava per lui.
Dopo un paio di vie multipich e di arrampicate in falesia nei pressi di El Chaletèn ho capito subito che assieme possiamo scalare di tutto. Ovviamente meteo permettendo.
Il fatto è appunto che abbiamo solo cinque giorni a disposizione, e si sa, in queste zone sono in molti quelli che per sfortuna o scarsa organizzazione non mettono le mani sulla roccia in un mese di andirivieni sui lunghi avvicinamenti ai massicci montuosi del Fitz Roy e Cerro Torre.
Noi siamo stati fortunati. Per l’ultimo giorno che Rainer ha a disposizione prima di tornare in Germania il meteo prevede una mezza giornata di leggera copertura nuvolosa ma senza precipitazioni e soprattutto con poco vento. Quello che ci vuole. Decidiamo per una via un po’ più impegnativa degli accordi iniziali, Rainer scala egregiamente quindi preferisco fare una cima che non ho mai salito precedentemente.
Portiamo lo stretto indispensabile, perché qui come non mai uno zaino troppo pesante si fa sentire e può compromettere tutto. Abbiamo una serie e mezza di friends, due corde gemellari, radio, sacchi a pelo, una tenda leggera e cibo per due giorni. Partiamo a mezzogiorno da El Chaltèn e arriviamo a Niponino, un accampamento ai piedi dello spigolo est del Cerro Torre alle otto di sera. Nonostante non più tardi dell’anno scorso ho percorso l’avvicinamento più di una volta si è rivelato più complesso e lungo di quanto ricordassi. Dopo i dieci chilometri di marcia fino alla laguna Torre occorre passare una tirolese che porta in terreno d’avventura: ci sono frane gigantesche, morene e un ghiacciaio da attraversare, il percorso non è mai scontato, soprattutto sotto la pioggia che ci sorprende a metà strada. La nostra determinazione ci premia con una serenata splendida e senza un filo di vento, un’autentica rarità.
L’indomani con le prime luci ci portiamo sotto il pilastro di Rubio y Azul sulla Aguja di Media Luna, una delle grandi classiche della zona. 350 metri per 12 tiri in fessure fino al 6c, aperta dal grande Ermanno Salvaterra in solitaria nel 1994. Nelle due ore circa che abbiamo impiegato per arrivare all’attacco il tempo è cambiato e tira un forte vento freddo e a raffiche. Non promette nulla di buono ma in accordo con Rainer, visto che siamo qua e per arrivare a questo momento abbiamo attraversato l’oceano e camminato 12 ore tanto vale iniziare le danze. Inizialmente pensavamo di fare una via su El Mocho dove non servivano friends grandi, mentre su su Rubio y Azul è consigliato un doppio #3 e un #4. Già sul primo tiro (una fessura off width di 20 metri) avverto la mancanza del big brò, ma in qualche maniera struscio fino in sosta nel miglior stile “chicken dance”. Rainer definisce il tiro “a nightmare”, ma ecco che nel più meraviglioso paradosso patagonico, da una nuvola esce il sole e “se apaga” il vento. Continuiamo la via in maniche corte con piumini e giacche legate in vita, lungo fessure strepitose incise su placche di granito perfetto. Eccoci nei pressi del tiro chiave, anche questo off-witdh e di 6c: sono un po’ impensierito dalla mancanza di friends grossi e stavo già pensando di fare una palla di nodi da incastrare con un vecchio spezzone di corda trovato a una sosta quando ecco una vista celestiale: urlo a Rainer che mi assicura in sosta “you can’t belive what I found here”! Su un micro terrazzino a metà di un ripido tiro di 6a c’è a farmi l’occhiolino un BD camalot N #4 caduto a qualche cordata precedente: una botta di culo micidiale lo ammetto.
Con questo regalino all’imbrago anche il chiave (che non è per nulla facile) scorre senza intoppi e in breve ci troviamo in vetta, un pilastro perfettamente di fronte alla parete est del Cerro Torre, così vicina che allungando un dito sembra di poterla toccare.
Rainer è al settimo cielo e anche io sono felicissimo di essere qui. Sono quei momenti di piena soddisfazione che capitano solo di tanto in tanto e nemmeno le corde, che si incastrano due volte sulle calate e mi costringono a risalire per liberarle, riescono a intaccare il nostro buonumore.
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