Mountain GuideFrancesco Salvaterra

Petit Dru e Gran Dru, traversata.

Luglio 2024. Qualche giorno fa sono andato con Giovanni Pillitteri ai Drus.

Impossibile non essere attratti dal Petit Dru, basta guardarlo una volta da Montenvers.

Era una salita per cui ero ben motivato di mio, il fatto che coincidesse con uno degli obbiettivi di Gio è stata una fortuna.

L’ambiente generale vale cinque stelle su cinque, la scalata tre o quattro, nel complesso è stata una salita veramente bella e memorabile.

Dopo le consuete cinque o sei ore di macchina alle una circa abbiamo fatto gli zaini al parcheggio del Chemin de fer de Montenvers. Due mezze corde da 50m, sei freinds fino al n #3, una vite, ramponi e piccozza di alluminio. Come calzature decido di usare delle mescalito a collo alto, senza portare le scarpette. Si è rivelata un’ottima scelta complessivamente, com’è ovvio al rientro sul ghiacciaio si sono bagnate ma quando sei a due passi dalla porta del rifugio poco conta.

Arrivare allo Charpoua non è propriamente una passeggiata, noi per fare un anello saliamo dal passaggio delle guide, che permette di salire sulla balconata parecchio prima delle scale tradizionali.

E’ piuttosto fisico e attrezzato con delle corde fisse, se c’è gente può essere pericoloso per le cadute di sassi. Raggiunta la fascia di rododendri e prati l’ambiente e il panorama si fa magnifico e molto particolare, un vero giardino sospeso, un ambiente sereno tra due decisamente inospitali: sotto il ghiacciaio travagliato, sopra le guglie opprimenti. Arriviamo al rifugio in circa quattro ore dal trenino.

Dopo nove anni la precedente gestrice ha lasciato e parallelamente il rifugio è stato ricostruito. Alcuni pezzi sono rimasti come i letti e uno dei due tavoli. E’ un rifugio minuscolo ed estremamente affascinate, Lucy la nuova gestrice ci dice che a causa del meteo decisamente instabile a giugno non ha visto quasi nessuno. Deve essere bello gestire un rifugio simile. Sicuramente come in tante altre cose anche qui i francesi sono avanti: pur di presidiare il territorio Lucy viene pagata per stare al rifugio e non gli si chiede affitto. Se si adottasse una politica simile alcuni rifugi del lato italiano come il Boccalatte e il Borelli potrebbero tornare ad accogliere alpinisti ed escursionisti. Il rifugio è di proprietà della Compangnie des Guides Chamonix e ha quattordici posti letto.

Il nuovo Charpoua e i Drus.

Martin Elias è una bravissima guida spagnola, dei pirenei ma naturalizzato nell’area di Chamonix, spesso gli chiedo informazioni. Quando mi ha detto che anche lui voleva andare a fare la traversata lo stesso giorno non ho avuto più dubbi.

Alle due facciamo colazione, per la traversata oggi siamo in cinque cordate: noi due, due amici guide che vogliono farla in velocità prendendo il trenino, un’altra guida, Charles Dubouloz con una cliente e due ragazzi. Martin partirà alle 4 ma già la conosce bene avendola percorsa quattro volte in precedenza. Il glacier de Talefre è in buone condizioni ma comunque attraversarlo non è uno scherzo specie di notte. In breve il rischio di scivolata supera quello di finire in un crepaccio quindi accorcio parecchio la corda. Dopo aver preso quota salendo verso la Verte occorre scendere e traversare a lungo, è sufficientemente ripido da stare attenti. Arrivati al sistema di cenge alla base del gran Dru si continua a traversare ma su placche di roccia a tratti lisciate dall’acqua e da millenni di scariche. Alle 6 siamo al col des Flames da Pierre, la vista su quel che resta del pilastro Bonatti è impressionante. Le due guide sono andate a razzo e praticamente non le abbiamo nemmeno viste, Charles è tornato indietro dopo poco e i due ragazzi sono poco dietro. Per tutta la salita dovermi cercare il passaggio giusto sullo sperone mi richiede un po’ di ragionamento ma va bene così: avere sopra qualcuno che può far cadere sassi è peggio.

L’arrampicata e l’ambiente mi ricordano molto le torri della val Gabbiolo in Presanella: la roccia è compatta ma le cenge sono ingombre di detrito, i passaggi sono spesso fisici, brevi muretti, boulders intervallati da cenge. Non ci sono molti chiodi ma le tracce di passaggio non mancano, soprattutto consunti anelli di fettuccia che ricordano quando la normale del Petit Dru si percorreva come discesa preferenziale dalla vetta. Nei pressi della cengia di quarzo sicuramente sbaglio la via e per due tiri passiamo sulla destra, dove ci sono comunque dei chiodi. Ci riprendiamo a livello dell’omino di quarzo, un passaggio caratteristico. Qua e là c’e del verglas e neve ma nulla di trascendentale. A mezzogiorno poggiamo una mano sulla spalla della madonna di Lourdes che protegge la gente di Chamonix, pensare che è stata portata quassù in vari tentativi, l’ultimo nel 1919, in uno zaino e pesa circa 13 chili. “Bravo Giò, siamo nei tempi!”

Uno scorcio su quel che resta del pilastro Bonatti dalla breche du Flames da Pierre.

 

Due ore dopo siamo sul Gran Dru, vista di fronte la Z è abbastanza impressionante ma scalandola non è poi così difficile, una bella arrampicata. Come sempre sulla vetta non mi emoziono e non mi rilasso, anzi, siamo solo a metà. Nel frattempo Martin e Pascal ci hanno raggiunto e gli cedo volentieri la pole position sulle calate, non è male scendere dietro a chi sa già dove andare.

Trovare la prima sosta di questa nuova linea di calate attrezzata nel 2021 non è immediato, bisogna scendere un’ottantina di metri lungo una crestina verso la Verte fino a traversare a destra su una spalla. Il primo ancoraggio a resinati è su un grande blocco ricco di cristalli bellissimi e le soste sono evidenziate da un piccolo catarinfrangente.

Scendere da qui ha senso solo perché sono le due di pomeriggio di una giornata dal meteo perfetto, in una catena montuosa dove si dispone del miglior soccorso alpino del mondo. Ad ora tarda o con meteo incerto scenderei sicuramente dalla vecchia normale del Gran Dru. Sarebbe una discesa più lenta e macchinosa ma più conservativa. Le nostre prime 5 o 6 doppie sono completamente fuori linee di salita, in piena parete e spesso su soste appese nel vuoto. In qualunque momento se si incastra o perde una corda si torna a casa solo in elicottero.

Nella parte bassa prendiamo la linea di calate a sinistra faccia a valle, arrivando prima sul ghiacciaio che non si rivela ne ripido ne difficile, ma perché la neve è molle. Se fosse gelata con l’attrezzatura leggera che abbiamo non sarebbe uno scherzo.

Arriviamo perfettamente per cena alle 18.30 al rifugio, molto contenti. Gran bella scalata, forse la più intrigante dell’estate. Vediamo come va avanti.

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