7 giugno 2022
La Marmolada va presa a piccole dosi, o meglio a piccoli passi. Me ne ero già accorto.
Ricordo quando quasi una decina di anni fà, come prima via avevo accettato di ripetere Olimpo. L’avevamo si fatta (uscendo dalla Messner) ma con una bella dose di stress.
Sabato con Alberto ci portiamo ai piedi di punta Rocca con calma, ha piovuto molto il giorno precedente.
Del vago senso di preoccupazione e di colpevolezza che spesso mi accompagna nei giorni precedenti, come sempre oggi non c’è traccia. Penso che il giorno in cui mi sentirò a disagio nel momento dell’azione smetterò di fare la guida su certe vie. Sono partito da Tione alle 4 alle 5.40 ero da Alberto a Castelrotto e ora, alle 9.30, constatiamo che il sole non ha ancora raggiunto i primi tiri di Tempi Moderni. La fessura iniziale è molto bagnata. La salgo comunque, trascinandomi in qualche maniera non proprio performante, ma anche la breve placca iniziale del secondo tiro è nera di bagnato.
In fretta decidiamo di scendere e ripiegare sulla Cinquantenario FISI.
Si è rivelata una buona scelta, la via ci è piaciuta molto e ci ha dato la possibilità di prapararci meglio in previsione dell’opera prima di Mariacher. E’ un vione (come tutte del resto) dove ci si sente immersi nella parete. Nella parte bassa il secondo tiro difficile, lungo, articolato e placcheggiante, dà subito una svegliata. La linea è abbastanza intuitiva ma specie sulla variante delle placche bisogna andare a istinto perché c’è parecchia corda libera tra un chiodo e l’altro.
Iniziamo a scalare alle 11.30 e arriviamo in cengia alle 16.30. C’è acqua in abbondanza e riempiamo le bottiglie nel torrente che scende dagli strapiombi appena a sinistra di Futura. Anche la nicchia di bivacco posta appena a destra della Gogna non è per nulla male. Abbiamo tempo e salgo il tiro sopra la cengia lasciando una corda, è molto bello, non scontato ma nemmeno estremo.
Una bella cenetta con panini, parmigiano e dolcetti vari e… sono le 7, un pò presto per dormire!
Ci mettiamo comodi nei nostri alloggi. Siamo stati piuttosto minimalisti: calzamaglia da mettere sotto i pantaloni, sacco da bivacco in nylon, piumino sintetico e metà materassino arrotolabile a testa. Integriamo il giaciglio con zaini vuoti corda rimasta e fettucce varie, il cuscino del pastore è un sasso piatto come in Sardegna.
Momento cinema: alternandoci al tenere il telefono alto, straiati nei nostri letti, vicini vicini come due simpatici bulicci ci guardiamo “odio l’estate”: l’ultimo film di Aldo, Giovanni e Giacomo scaricato precedentemente da Netflix. Avranno sentito le risate dal Falier.
Alle cinque siamo svegli, non è che si sia fatto una mega dormita, ma neppure terribile. Un pò di intirizzimento alle gambe infreddolite. Per fortuna iniziamo tirando la corda e scalando su terzi gradi, però di roccia non delle migliori. E siamo alla cresta. L’ultimo tratto è spettacolare, sembra di risalire la schiena di uno stegosauro gigantesco. Alberto mi raggiunge sempre preciso e di corsa, anche se alcuni tratti di roccia delicata richiedono una certa concentrazione.
La nota dolente è che siamo bersagliati da un vento rafficato da SO veramente fastidiso, mi ricorda alcune vie in Patagonia. Salgo a scatti come un criceto: scatti veloci con la calma di vento, poi alla raffica mi aggrappo alla roccia appoggiandomi anche con i vestiti per fare attrito e non farmi sbilanciare. Come spesso accade la sensazione più che di piacere delle forme e dei movimenti è di lotta per la sopravvivenza, per arrivare oltre l’orizzonte grigio della parete. Sbuchiamo in cresta alle 11, dopo quello che è probabilmente il tiro più bello di tutta la via. Che bella sensazione!
Note:
La Marmolada è spettacolare, non ci sono paragoni. Bisognerebbe farci almeno una via all’anno!
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