Si va in montagna per essere liberi, per scuotersi dalle spalle tutte le catene che la convivenza sociale impone, per non inciampare ogni due passi in imposizioni e proibizionismi. Si va in montagna anche per sottrarsi a norme ammuffite, per sbizzarrirsi una buona volta e immagazzinare nuove energie.
Tita Piaz
C’è chi cerca lo svago, chi l’adrenalina, chi ama la contemplazione e chi la sfida. Io vado in montagna perché è il posto dove sto meglio, dove sono felice e mi sento a mio agio. Non saprei dove trovare altrove una tale concentrazione di bellezza e intensità di emozioni.
Il legame con le persone è per me la cosa più importante: vedere la soddisfazione negli occhi di chi accompagno e riscontrare i miglioramenti di volta in volta, il premio più grande.
Il rapporto guida-cliente è qualcosa di strano, nell’immaginario (tutto italiano) alcuni pensano che chi va con la guida lo fa perché non è in grado di affrontare autonomamente un’ascensione, in realtà penso che sia una visione sbagliata o perlomeno molto riduttiva. Quello che una guida può fare, oltre che del suo meglio per portarvi in cima e a casa sani e salvi è offrirvi a cuore aperto tutte le sue conoscenze, la passione e le astuzie maturate in una vita dedicata alla montagna.
Se state leggendomi pensando di farvi accompagnare sui monti, sono certo che siete provvisti di un grado di umiltà e di passione che vi tornerà più che utile nella vostra strada verticale.
Se posso scegliere sono sempre stimolato nel proporre qualcosa di nuovo, mi capita quotidianamente di guidare in zone che non conosco (una guida non può conoscere tutte le montagne!), quindi le proposte che trovate sul sito sono solo delle idee. Parlatemi della vostra meta dei sogni, condividere assieme il piacere della scoperta sarà un valore aggiunto per entrambi.
«È lunga l’iniziazione alla montagna. È fatta di migliaia di ore di avvicinamento personale – esitazioni, errori, fatiche, successi e gioia – e dell’esperienza degli altri, di quelli che sanno o dovrebbero sapere. Tra questi, i maestri di sci e le guide, che sono riconosciuti dallo Stato per insegnare lo sci e l’alpinismo, per portare in montagna, a piedi o sugli sci, su neve o roccia, un gruppo di persone che diventano clienti.
Non è una bella parola: trasmette solo l’idea di denaro. Rende male la natura dei rapporti che si stabiliscono o dovrebbero stabilirsi tra la guida e il guidato, tra chi conduce alla scoperta e chi scopre, chi insegna e chi impara. Ma si dice che l’uso fa la legge, e il termine è troppo spesso giustificato dalla realtà dei fatti: per molti professionisti della montagna, il cliente è prima di tutto una fonte di guadagno.
Ma un cliente è per prima cosa una persona che nutre aspettative. Chi si rivolge a un maestro o a una guida lo fa anche, e soprattutto, perché ha bisogno di scambi, di calore umano, di comprensione. Ha bisogno che le sue motivazioni prendano corpo, che le esitazioni svaniscano, l’entusiasmo trovi libero sfogo. In lui sono presenti potenzialità fisiche e morali, pronte a venire a galla, che per esprimersi richiedono un terreno e qualcuno che quel terreno lo prepari. Guida e maestro hanno un duplice ruolo: tecnico e umano.
Accompagnare un cliente non vuol dire solo tenerlo in cordata o nella propria traccia, ma iniziarlo alla montagna, mostrargli quanto è appassionante, fargli capire che un bivacco è una cosa straordinaria, che incontrare qualcuno là in cima – incontrarlo moralmente – è un’esperienza eccezionalmente ricca e che in quel momento è possibile condividere.
Condividere: la parola chiave».
Patrick Vallençant da ‘El Gringo Eskiador’, Mulatero Editore 2018.