Briançon, metà arrampicatoria che aspettava da tempo. Siamo in tre guide e soci in affari a concederci tre giornate piene di ferie: io, Federico Monegatti e Franz Nardelli. Io sono il più vecchio e pertanto ci metto la macchina, con il preciso intento di guidarla il meno possibile perché ho il sonno facile e come dice il mio motto: “la guida non guida”.
Partiamo alle 20 dal casello Rovereto sud e alle una di mercoledì 23 maggio 2023 arriviamo in un piccolo spiazzo erboso sopra al paesino di Les Vigneaux. Al buio immaginiamo di essere al parcheggio della Téte d’Aval e ci accampiamo in tenda, mettendo la sveglia alle 6.
Tète d’Aval, Ranxerox 600m (17 tiri) 7a/S2/III
Caffè e si va, la vista è meravigliosa: siamo a 2000 metri e sui versanti a nord delle montagne di fronte a noi abbonda la neve. Il meteo è ottimo ma sappiamo che nel primo pomeriggio sono previsti temporali. Bisogna camminare un oretta buona, il sentiero è ben battuto e l’attacco è segnato con un Rx in vernice gialla. Lasciamo alla base i piumini, con il senno di poi avrei lasciato anche uno zaino e le scarpe. Sembra che la via da fare su questa parete sia Ranxerox, infatti siamo qui per lei. La parte bassa è bella ma in uno stile tecnico che va un pelo digerito. I primi tiri non li passegiamo. La parte centrale spetta a Franz. Il secondo 7a non è per nulla scontato e in generale i gradi non sono regalati. L’arrampicata è entusiasmante, non c’è un solo appiglio mobile e bisogna sempre pensare ai movimenti, rovesci, scasi, goccette, sostituzioni. La spittatura è piacevole, mai pericolosa o lunga ma nemmeno ascellare, questo Cambon (che qui ha aperto tutto) ci sa fare.
Per divertirsi è bene avere un buon 6c a vista, altrimenti vanno messi in conto dei bei resting anche sui tiri più facili. Sono riuscito a farla a vista ma i due tiri chiave li ho fatti da secondo faticando parecchio, difficile anche un tetto di 6a?! verso la fine e il secondo tiro sul pilastro finale, con un passo di difficile lettura. Salendo penso che l’arrampicata e anche la parete mi ricordano rocca la Meja sulle Alpi Marittime, un altro posto molto bello che io e Chiara avevamo visitato da morosi.
Il pilastro finale, come descritto, è veramente il top, una serie di tiri estremamente tecnici e magnifici dove vanno tenuti gli occhi aperti. Nonostante delle avvisaglie proviamo a forzare la mano ma a un tiro dalla fine, appena fatta la spettacolare placca di 6a, arriva la pioggia.
Rimpiangendo di perdere l’ultimo tiro ci caliamo dalla via fino alla cengia, sulla sinistra riscendiamo il ripido canale di scolo e troviamo riparo in una grotta con un muretto a secco. Abbiamo un accendino e c’è della ramaglia secca, decidiamo quindi per una pausa di un’ oretta per asciugarci e vedere se smette di piovere. E’ veramente piacevole asciugarsi di fronte al fuoco con i vestiti che fumano e le mani che riprendono sensibilità. Purtroppo constatiamo che non ha intenzione di smettere di piovere quindi riprendiamo a calarci partendo dal bordo superiore del grande tetto, dove esce “Ballade des Enfers”. Le calate sono facili e dirette ma non è affatto piacevole la sensazione di non avere margine di errore, tutto comunque va per il meglio.
Mi sento di inserire Ranxerox nella top ten delle vie sportive che ho ripetuto. Gioca a favore anche il fascino esotico, il panorama e l’ottima compagnia che ha contribuito sensibilmente a rendere la giornata memorabile. Per la relazione se ne trovano parecchie, ci siamo trovati bene con quella della guida di Francesco Piardi (arrampicate nelle Alpi), a cui siamo grati per l’ottimo lavoro e per aver ispirato il viaggio. Bisogna prestare attenzione ai raccordi con altre vie sulle cenge. Il tiro 10 e 11 (traverso a destra e dritti verso lama atletica) si collegano in maniera naturale, non conviene collegare nessuno degli altri. Im materiale che serve è poco, 12 rinvii, qualche cordino e due corde da 50 o 60m. Per una scalata più omogenea sul grado 6c Arnaud Petit nella nuova guida Nouvelles Parois de Légende (purtroppo solo in francese) consiglia la combinazione di Ranxerox+Mémoire de l’Au+Ranxerox. Potrebbe essere un’ottima idea per chi soffre sul 7a.
Completamente bagnati, ci portiamo con il riscaldamento a palla verso Briancon e dopo una pizza nell’unico ristorante aperto (pizzeria Margherita, buona), prendiamo alloggio all’hotel Le Parc. Le stelle in Francia devono essere assegnate in maniera sindacabile perché si tratta di un hotel moderno ma alla buona, di quelli privi di personalità ma con un prezzo più che abbordabile (40€ a persona per una tripla con colazione iper abbondante anche se mediocre).
Anche il giorno successivo piove al mattino, ce la prendiamo con calma facendo due passi in paese per poi, in pochi minuti di auto, portarci alla falesia le Traverse et la Vignette. Scegliamo il settore a fianco alla torre, appena sopra la strada perché è asciutto e relativamente riparato, in ogni caso non si scalerebbe sotto una pioggia seria.
E’ una falesia di calcare metamorfizzato un po’ strano, l’arrampicata è atletica su tiri lunghi, molte prese scavate o ritoccate. Carina ma nulla di speciale.
La sera ci abbandoniamo ad una cena abbondante a base di Raclette in un ristorante dentro le mura di Briancon e andiamo a dormire in uno chalet a Les Vigneux dove era già stato Franz.
Ailefroide, secteur Eboulement, Le deserte du tartare 450m 6c+/S2/III
Torna il bel tempo e vogliamo vedere il più possibile cambiando area, ho sentito dire che nell’Oisans esistono almeno cinque tipi differenti di roccia, oggi tocca al granito.
Al mattino abbastanza sul presto risaliamo la valle stretta e alpina fino al paese di Alefroide, ai piedi del Pelvoux. Fuori dall’auto ci sono 5 gradi, non c’è in giro nessuno e nell’area del camping è tutto chiuso.
Lasciata la macchina ci dirigiamo verso l’attacco, l’accesso è breve, una ventina di minuti. Anche questa volta il luogo è meraviglioso, molto verde, molta acqua, ricorda una più piccola ma ampia valle di Daone. C’è roccia in abbondanza e si intuisce subito lo stile prevalente delle vie: si tratta di contrafforti a placche spesso appoggiate e molto articolate, sulla cui sommità si trovano dei pascoli che fanno da base alle bastionate di alta montagna del Pelvoux, la Barre des Ecrins e altre.
E’ un luogo ideale per fare vie lunghe (anche molto lunghe) di media difficoltà e ben attrezzate. Ci sono moltissime vie sul 5a/6b, noi scegliamo una tra le impegnative: Le deserte du Tartare. E’ una salita di 15 tiri aperta da locals nel 2004. Visto da sotto il settore Eboulement (significa frana) non fa impazzire, è una parete disarticolata e appoggiata ma si intuisce subito che ci sono settori interessanti.
I primi tiri sono mediocri, specie il secondo che fa scalare un traverso a due metri da terra per evitare un canale camminabile. Il terzo tiro, definito il chiave, sale una placca liscia che volendo si può facilmente aggirare sulla sinistra evitando un paio di fix per rientrare poco dopo. Sulla guida la placca è data di 7a+ ma a nostro avviso arriva a stento al 6c+, opponendo comunque un paio di passaggi aleatori dove bisogna stare bene sui piedi. Con il quarto tiro la parete si raddrizza e si entra nella parte interessante. L’arrampicata si fa a tratti atletica, e i successivi sei tiri sono tutti di qualità. Per arrivare in “cima” percorriamo tutte e 15 le lunghezze ma va detto che le ultime due possono essere tranquillamente evitate, sono poco più di prati ripidi.
Nel complesso siamo soddisfatti di queste belle giornate, il periodo scelto è stato perfetto quanto a condizioni e temperature, sicuramente non sono vie da fare di estate al sole.
Ci tornerò sicuramente con la famiglia o con qualche cliente, è un posto ideale dove si respira aria rigenerante.
Mi sono stati simpatici i francesi della zona, sono molto alla buona e anche le abitazioni rispecchiano un’ atmosfera rilassata e un po’ trascurata che trova affinità con il mio carattere.
Casette riservate poco costose e appariscenti, con tetti di lamiera arrugginita e auto economiche a fianco, negozietti e botteghe poco ordinate con un concetto di pulizia che ammicca al sud america, la merce su scaffali sgangherati e i commessi lenti. Location interessante per rimettere in discussione le priorità della vita e godersi un po’ di imperfezione.
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